In questo articolo vorrei parlare dei dipinti che ho definito con il nome generico di fotopitture, lavori iniziati intorno al 2001. Lo voglio fare per due motivi, il primo perché uno è stato venduto, giorni fa, grazie agli amici di Artifex, l’altro perché mi sono imbattuto nel lavoro di Benedetta Bonichi e in una sua intervista, che mi ha colpito per certe similitudini tra il mio approccio all’arte e il suo, nonché a certi suoi lavori che mi han ricordato le fotopitture.
Questi lavori, che vi presento nella galleria qui sotto, sono realizzati partendo dalla carta fotografica e utilizzando il corpo come mascherina a contatto. Il risultato era un’immagine in negativo molto evanescente, formata da pennellate in disordine, che veniva successivamente interpretata attraverso la pittura e il colore. La particolarità stava nelle dimensioni, essendo a grandezza naturale utilizzavo rotoli di carta in bianco e nero, e nella tecnica di sviluppo, perché non immergevo la carta nelle solite vasche ma sviluppavo l’immagine a pennello, dosando il movimento dove mi interessava e “sperando” di interferire in un modo proficuo con la casualità del processo chimico, che era infatti solo parzialmente controllabile. La carta era impressionata con torcie, candele, oggetti banali e semplici.
Una volta fissata l’immagine, quando essa era sufficientemente sedimentata nella mia memoria, passavo ad una fase attiva di interpretazione di ciò che era uscito, attraverso pochi o molti tratti di pittura. In quel periodo ero interessato ad approfondire la relazione tra corpo e spazio, tra suono e volume.
Questi lavori sono stati esposti in una mostra collettiva che ebbe un discreto successo di pubblico, se relazionato al luogo espositivo che era in provincia, e uno di loro venne selezionato ad un concorso e messo su un catalogo. Come al mio solito, non sto più di tanto a cercare di promuovere il mio lavoro, perché sono interessato più all’aspetto di ricerca che alla sua diffusione, anche se, ovvio, mi fa piacere quando riesco a far vedere le mie cose perché è comunque una necessità quasi metabolica, e il blog in questo senso rappresenta un buon modo di rendersi visibili.
Il discorso è per me per nulla concluso, anche se non ho più realizzato esperimenti con la carta fotografica. Sono passato ad esperimenti con la stampa digitale ma per ora a piccolo formato per problemi di studio. Per un apporto critico su questi lavori vi lascio ai testi critici.
“Foto dipinte raccontano storie di corpi fotografati da un pennello luminoso. Luce per la materia sensibile e materia per lo spirito. Alogenuri d’argento come pigmenti predefiniti e pigmenti colorati come post-definizione dell’immagine. Si tratta di pittura su carta fotografica in bianco e nero. Il mio corpo come mascherina racconta di meditazioni yoga, e il colore modifica l’immagine secondo i dettami sinestetici dati dalla meditazione.”
“Benché l’amore inizi là dove la bestialità finisce, la bestialità è così ben conservata nell’erotismo che le immagini tratte dall’animalità non cessano mai di essergli legate. Ma forse proprio per questo l’amore è sacro, come attività trasgressiva che si oppone al divieto , l’amore è vicenda divina, dove l’umano “eccede”, compie l’eccesso. (U. Galimberti, l’immaginario sessuale). Dal catalogo della Mostra Arte Eros – giovani artisti. A cura di Giorgio Auneddu e Riccarda Montenero.
Per Paolo Durandetto il corpo umano si perde nella notte dei tempi, abbandona la propria tridimensionalità per divenire pura essenza, materia spirituale da cui far nascere una nuova umanità. I lavori presentati da Durandetto sono stati realizzati unendo due tecniche: quella fotografica e quella pittorica. “Ho utilizzato il mio corpo – ci spiega l’artista – come mascherina a contatto sopra grandi fogli di carta fotografica”. Durandetto, nel buio della camera oscura, illuminata solo da una lampadina rossa, fa assumere al suo corpo posizioni yoga e con l’ausilio di lampade elettriche, candele e altre fonti luminose impressiona la carta che successivamente sviluppa a pennello, iniziando di fatto il processo “pittorico”. Le opere successivamente fissate e lasciate “decantare” subiscono l’intervento pittorico, vero e proprio, con colori acrilici, dove l’impronta fotografica del corpo viene smontata, sminuzzata, trattata concettualmente per dare vita ad un nuovo corpo “pensante”. Da questo procedimento nascono opere dal fascino dirompente come “Due Cavalli”, La Stanza”, o Switch on the green gloam” dalla gran forza espressiva. Per Durandetto il corpo assume una valenza esplorativa molto forte. Qui il corpo, in tutta la sua casualità espressiva, è ora danzatore, ora pensatore: non ha una forma originale ma contiene tutte le forme dell’universo, è in continua espansione, sempre diverso ogni volta, il corpo come corazza dalle infinite sfaccettature. Marcello Salvati sulla Mostra Corpo Omologato Ritrovato

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