Fulvio dell’Agnese in “Cattivi Maestri”, 2012
“…Cosa si vedrà dall’ispanico poggiolo di Ramona? Qualcosa, credo, concettualmente vicino agli orizzonti su cui posa lo sguardo Paolo Durandetto.
Paesaggi, che hanno ragione di essere definiti in questi termini in quanto – proprio alla stregua della morfologia di un sito – si sono costruiti per successive, geologiche e non programmabili stesure; e che a ben vedere hanno solo rarefatto la materia e rallentato le cadenze della propria metamorfosi rispetto ai carnosi amplessi fitomorfi degli anni ’90.”
Estratto da “cattivi Maestri”, Artisti dell’Atelier di Gian Carlo Venuto dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, dell’Albertina di Torino di Brera di Milano”, Corno di Rosazzo, maggio 2012.

Giovanna Arancio in “Luoghi fisici e mentali del paesaggio”, Galleria Ariele, luglio 2011
Le pitture di Paolo Durandetto appaiono come pensieri figurati che narrano: è il caso dei suoi racconti paesaggistici intitolati “Fukusima” in relazione ai territori giapponesi evacuati a causa della nota tragedia nucleare. Lo stesso pittore stranisce e si ritrova a tracciare delle zone cromatiche con colori che gli sono estranei, aree acidamente illuminate, segni di angosciosa assenza -presenza e ricordi di un’oppressione mediatica che inscena e rimacina un abbandono reale. Tutto ciò rimanda, pur nella differenza, per una sorta di singolare richiamo, ai paesaggi di Kiefer desolatamente deserti eppure ricoperti da orme di agghiacciante storia umana. Così le opere di Durandetto, che si mostrano quasi eteree nel loro marcato carattere di essenzialità, disvelano qui una poetica di sensibile compartecipazione umana. Con la serie dei “Link” il pittore esterna e dipinge lo stesso legante che attraversa come nodo ricorrente i suoi lavori: egli mantiene soltanto il reticolo connettivo che struttura ogni sua ideazione creativa: colori decisi e forme, un unicum di buona pittura, parlano il linguaggio riflessivo dell’artista.

Marcello Salvati sulle Fotopitture, 2002
Per Paolo Durandetto il corpo umano si perde nella notte dei tempi, abbandona la propria tridimensionalità per divenire pura essenza, materia spirituale da cui far nascere una nuova umanità. I lavori presentati da Durandetto sono stati realizzati unendo due tecniche: quella fotografica e quella pittorica. “Ho utilizzato il mio corpo – ci spiega l’artista – come mascherina a contatto sopra grandi fogli di carta fotografica”. Durandetto, nel buio della camera oscura, illuminata solo da una lampadina rossa, fa assumere al suo corpo posizioni yoga e con l’ausilio di lampade elettriche, candele e altre fonti luminose impressiona la carta che successivamente sviluppa a pennello, iniziando di fatto il processo “pittorico”. Le opere successivamente fissate e lasciate “decantare” subiscono l’intervento pittorico, vero e proprio, con colori acrilici, dove l’impronta fotografica del corpo viene smontata, sminuzzata, trattata concettualmente per dare vita ad un nuovo corpo “pensante”. Da questo procedimento nascono opere dal fascino dirompente come “Due Cavalli”, La Stanza”, o Switch on the green gloam” dalla gran forza espressiva. Per Durandetto il corpo assume una valenza esplorativa molto forte. Qui il corpo, in tutta la sua casualità espressiva, è ora danzatore, ora pensatore: non ha una forma originale ma contiene tutte le forme dell’universo, è in continua espansione, sempre diverso ogni volta, il corpo come corazza dalle infinite sfaccettature.

Dal catalogo della Mostra Arte Eros – giovani artisti. A cura di Giorgio Auneddu e Riccarda Montenero
Foto dipinte raccontano storie di corpi fotografati da un pennello luminoso. Luce per la materia sensibile e materia per lo spirito. Alogenuri d’argento come pigmenti predefiniti e pigmenti colorati come post-definizione dell’immagine. Si tratta di pittura su carta fotografica in bianco e nero. Il mio corpo come mascherina racconta di meditazioni yoga, e il colore modifica l’immagine secondo i dettami sinestetici dati dalla meditazione. “Benché l’amore inizi là dove la bestialità finisce, la bestialità è così ben conservata nell’erotismo che le immagini tratte dall’animalità non cessano mai di essergli legate. Ma forse proprio per questo l’amore è sacro, come attività trasgressiva che si oppone al divieto , l’amore è vicenda divina, dove l’umano “eccede”, compie l’eccesso. (U. Galimberti, l’immaginario sessuale).

Paolo Nesta, per la personale “Il Corpo della Natura” 1998, presso Arte e Arti
Nell’esercizio di curiosità intorno alle vie, o forse meglio ai sentieri intrapresi dalla recente stagione della ricerca artistica, in altre circostanze mi era già capitato di notare situazioni in qualche modo paradossali, da una parte, di giovani artisti intenti a ripetere con toni sovente contradditori, tra il sussiegoso e l’impegnato, il modo dei loro “padri” e, dall’altra, di artisti meno giovani, appassionatamente indirizzati, invece, a riscoprire, in un percorso a ritroso, più intime e più autentiche suggestioni di linguaggi visivi, sicuramente “storicizzati”, ma, in sostanza, meno “datati” a fronte di quanti, oggi, continuano ad avvalersi piuttosto presuntuosamente del marchio della contemporaneità.
Rispetto a tali percorsi – che per i primi rischiano di essere vicoli ciechi, mentre per i secondi sono certamente faticosi e densi di insidie, il vantaggio di Paolo Durandetto, al di là della giovane età anagrafica, consiste nella qualità e nelle condizioni della sua partenza. Felicemente orientato, Paolo è oggi pienamente emancipato e, consapevole degli “strumenti del mestiere”, si può liberamente muovere sul terreno della ricerca: sa che per guadagnare terreno può essere importante una pausa di riflessione, uno sguardo, o meglio un passo indietro, indirizzati contemporaneamente alle ultime mosse compiute e all’immenso patrimonio di esperienze depositate nella cultura figurativa, la cui dimensione, se per certi versi non può che apparire inquietante e soverchiante, per altro, si offre prepotentemente rassicurante. E’ probabile che non possa essere diversamente: natura e cultura (storia) si offrono paradigmaticamente, si impongono come modelli di contemplazione e di comportamento, richiedono, nel confronto implicito, una ricerca continuamente sospesa, da una parte, tra tensione, e inquietudine, ansia e mistero, dall’altra, tra concentrazione nel fare, ricerca mentale di equilibrio, pulsione all’ordine e vocazione all’armonia, con cui si ritorna, appunto al mistero, per lo meno dell’esistenza, forse, al segreto dell’essere.
